“una serie diversa da tutte le altre, che dimostra come un singolo atto di gentilezza porti a una strada tortuosa lastricata di centinaia di ore di messaggi vocali e di 40.000 e-mail”
Il dispositivo del Art. 612 Bis del Codice penale recita che “è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Il dispositivo traccia i confini delle condotte che portano al reato di stalking, ma non riesce, come è normale che sia, a farti sentire sulla pelle cosa voglia dire essere vittime di stalking.
In questi giorni ho guardato Baby Reindeer su Netflix che, invece ti fa sentire, epidermicamente, cosa sia lo stalking e cosa ci sia oltre le righe di un articolo di un Codice Penale.
Cosa cioè si prova ad essere vittima di unə stalker e come in queste situazioni tutto si possa ingarbugliare in maniera incredibile e assurda tanto da farti dire “vabbè, qui è romanzato”. Ma la storia di Baby Reindeer è una storia vera (viene detto all’inizio) che nella sua trasposizione in serie tv è rimasta quanto più fedele possibile ai fatti accaduti.
La cosa più incredibile (no spoiler, è un fatto noto da anni) è che Richard Gadd, l’attore che svolge il ruolo di protagonista, è veramente la vittima del caso raccontato.
L’ho scoperto a metà della visione e mi ha mandato completamente in tilt, empatizzando da un lato ancor di più con lui e incazzandomi dall’altro: “perché ci ha messo tanto a denunciarla?”
La risposta è ovviamente nella serie.
Ciao
Rocco
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